Riforma del processo civile
La nuova separazione.
La nuova normativa introduce – tra molti altri – il concetto di negoziazione assistita.
In questo numero vorremmo focalizzare l’attenzione su una particolare forma di negoziazione assistita: quella finalizzata alla soluzione stragiudiziale delle controversie in materia di separazione personale, di cessazione degli effetti civili, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.
Novità nella novità è che il ricorso a tale istituto è consentito anche in presenza di figli minori o di figli maggiorenni incapaci, portatori di handicap grave o non autosufficienti. In tal caso il pubblico ministero presso il Tribunale competente, cui l’accordo deve essere trasmesso entro dieci giorni – se risponde all’interesse dei figli – autorizza l’accordo raggiunto.
Analogo passaggio giudiziale è innestato nel procedimento di negoziazione in assenza di figli minori. Anche qui si è prevista la necessità di trasmissione dell’accordo al pubblico ministero presso il Tribunale competente per un controllo di regolarità; spetterà allo stesso PM il rilascio del nullaosta all’accordo.
La convenzione, obbligatoriamente assistita da un avvocato per parte, produce gli stessi effetti dei provvedimenti giudiziali che definiscono gli analoghi procedimenti.
Spetterà agli avvocati delle parti (pena pesanti sanzioni) trasmettere copia autentica dell’accordo all’ufficiale di stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto.
E’ introdotta una ulteriore disciplina volta alla semplificazione dei procedimenti di separazione personale e di divorzio, complementare a quella di negoziazione assistita.
Oltre che davanti ad avvocati, viene, infatti, garantita la possibilità di concludere dinanzi al sindaco un accordo di separazione o di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili o, infine, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.
La procedura non è esperibile in presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave o economicamente non autosufficienti.
Beh, direi che il Legislatore di carne al fuoco – anche questa volta – ne ha messa davvero tanta. Forse troppa!
A cura di:
- Avv. Marco Galvagno
Debiti cancellati se il consumatore dichiara “fallimento”
Il “Fallimento del consumatore”
Con la legge 3/2012 anche in Italia famiglie e partite iva che hanno accumulato troppi debiti possono utilizzare il cd “fallimento del consumatore”.
Purtroppo, in pochi conoscono la possibilità di presentare al Tribunale, un “piano” di uscita dalla crisi e – rispettandolo – far cancellare i propri debiti nei confronti delle Banche, di Equitalia e di ogni altro creditore.
Diritti Civili si era già occupata della storica sentenza del 2014 con cui la seconda sezione del Tribunale di Busto Arsizio ha omologato “il piano del consumatore” presentato dalla signora Anna (nome di fantasia), consistente nel versamento ad Equitalia della somma ricavata dalla vendita della propria casa pari (circa 11.200 euro) con una riduzione di circa l’87% del debito inizialmente vantato da Equitalia.
Venerdì scorso sono stato invitato ad un workshop presso la Scuola di Management ed Economia presso l’università di Economia a Torino dove, docenti universitari, economisti, legali e magistrati hanno approfondito il tema.
In particolare, il Presidente del Tribunale di Asti, grande conoscitore della materia fallimentare e la Presidente della sezione fallimentare di Torino, dopo aver illustrato il nuovo istituto, hanno parlato di numeri. Domande presentate nel 2014: 26 a Torino e 4 ad Asti. Troppo poche, a nostro modesto avviso. Manca consapevolezza sia da parte delle famiglie che dei professionisti.
Lo strumento è interessante, può essere un’ancora di salvezza per le famiglie e in altri Paesi funziona da tempo. Possiamo farlo decollare anche in Italia. E’ una questione di civiltà giuridica.
Ecco perchè ce ne occuperemo ancora.
A cura di:
- Avv. Marco Galvagno
Anatocismo e usura: come difendersi
Sportello dei cittadini contro gli abusi
Visto l’interesse suscitato dall’articolo scorso in materia di controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate, questa settimana vorrei affrontare un altro tema tanto spinoso quanto attuale: l’anatocismo bancario.
Ma cosa si intende per anatocismo? “Il prestito di denaro si presume oneroso; la presume oneroso; la percezione degli interessi rappresenta la remunerazione, di per sé legittima, del prestatore – continua il dott. Binello, revisore contabile – tassi d’interesse superiori ai cd “tassi soglia” integrano una fattispecie di natura penale, l’usura; l’anatocismo, invece, è la produzione di interessi su interessi, e non è un reato penale”. La produzione degli interessi sugli interessi può avvenire su base annuale, su base semestrale, su base trimestrale; si parla di capitalizzazione annuale, semestrale, trimestrale. Cosa vuol dire? Vuol dire che gli interessi si calcolano su tali periodi, e vengono aggiunti al capitale, per il calcolo successivo; questo fa sì che un tasso semestrale del 3% “pesi” di più di un tasso annuale del 6%. In estrema sintesi (e semplificando un po’): il Codice Civile ritiene lecita (al massimo) la capitalizzazione semestrale.
Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità per lungo tempo aveva ritenuto legittimi gli interessi trimestrali richiesti nei rapporti bancari; a partire dal ’99, con tre famose sentenze, la Corte di Cassazione ha modificato il proprio orientamento, dichiarando l’anatocismo trimestrale illegittimo.
Binello: “La rilevazione dell’esistenza di anatocismo passa necessariamente attraverso lo studio combinato di dati contrattuali e di dati numerici; si tratta di un’analisi piuttosto complessa, e solo dopo un’accurata indagine si può giungere alle conclusioni”. Il nostro studio è, per sua indole, garantista; non troviamo positivo il clima da caccia alle streghe. Tuttavia, in caso di dubbi, è lecito che i cittadini e le imprese pongano domande, ed è giusto e doveroso che ricevano risposte.
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A cura di:
- Avv. Marco Galvagno
- Dott. Alberto Binello
Possibilità di difendersi nelle indagini finanziarie
Stop sui prelievi di autonomi e professionisti
Troppo ghiotta l’occasione offerta dalla Corte Costituzionale per non affrontare in questo primo appuntamento un tema tanto caro alla nostra società attuale: il rapporto tra Fisco e contribuente. La sentenza n. 228/2014 della Corte Costituzionale, da un lato, le aperture al contradditorio operate dalla circolare 25/E/2014, dall’altro, rafforzano le possibilità di difesa del contribuente nel sinistramente famoso accertamento cd “bancario”. La Corte ha precisato che è arbitrario sostenere che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati a un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito.
Ho chiesto un commento a caldo al Dott. Alberto Binello che da anni si occupa di diritto tributario per passione e professione: “è stato dichiarato incostituzionale l’art. 32 co.1 del dpr 600/73 nella parte in cui opera una presunzione legale davvero temibile: se effettui un prelievo di contante, e non lo giustifichi, l’Agenzia può presumere che si tratti di somme utilizzate per acquisti “in nero”, e pertanto far rientrare le somme ricavate dalla (presunta) successiva vendita nel monte imponibile del contribuente!
Questo tipo di presunzione nei confronti di un lavoratore autonomo o di un professionista è lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva. Sono ormai anni che sosteniamo questa tesi e finalmente la Corte ci dà soddisfazione”.
Cari lettori, certo che se guardiamo alla giurisprudenza della Corte di Giustizia (Sopropè, 18.12.08, causa C-349/07), allo Statuto dei diritti del contribuente (art. 12) e alla Cassazione (sent. 14105/10) non possiamo non notare che la via del contradditorio e del confronto con la difesa si fa sempre più strada. E questo ci fa ben sperare.
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A cura di:
- Avv. Marco Galvagno
- Dott. Alberto Binello
Sovraindebitamento e procedure concorsuali
Situazioni di sovraindebitamento non sanabili attraverso le altre procedure concorsuali.
La Seconda Sezione Civile del Tribunale di Busto Arsizio ha emesso un provvedimento che farà discutere.
E’ stato reso noto in questi giorni il testo del decreto che sdogana il cd. “sovra indebitamento” di cui alla la legge 3/2012 (modificata dalla legge 221/2012): una procedura concorsuale a carattere volontario finalizzata a risolvere le situazioni di sovraindebitamento non sanabili attraverso le altre procedure concorsuali. La pronuncia trae origine da un ricorso depositato in Tribunale ad aprile 2014 da una signora che chiameremo Anna che, sommersa dai debiti, ha proposto un piano per la composizione della sua posizione debitoria (cosiddetto piano del consumatore).
Il piano prevedeva la vendita di una parte dell’unico immobile di sua proprietà per ripianare i debiti contratti.
L’unico creditore della debitrice era Equitalia Nord per una somma di circa 87mila euro per tributi dovuti negli anni 1996 e 1997. L’istituto rifiutava la proposta della debitrice .Tralasciando gli spetti più tecnici della questione, quel che ci interessa sottolineare e che il piano del consumatore non è vincolato al giudizio dei creditori, ma è soggetto solo all’ omologazione da parte del giudice, che deve valutare la fattibilità della proposta e la meritevolezza della condotta (articoli 12-bis e 12-ter della legge 3/2012). Infatti, ai fini dell’omologazione occorre solo che il debitore non abbia assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere e non abbia colposamente determinato il proprio sovraindebitamento (per esempio facendo ricorso al credito in modo scriteriato e sproporzionato alle proprie capacità patrimoniali (articolo 12-bis comma 3 primo periodo della legge 3/2012). Ed ecco il lieto fine: il Tribunale ha omologato il piano del consumatore presentato dalla debitrice e, quindi, ne ha disposto l’esecuzione, consistente nel versamento ad Equitalia Nord della somma ricavata dalla vendita pari a circa 11.200 euro con una riduzione, quindi, di circa l’87% rispetto al debito iniziale.
A cura di:
- Avv. Marco Galvagno
Assemblea condominiale
Deleghe in assemblea condominiale.
La Cassazione ha sempre ritenuto che in tema di assemblea condominiale, i rapporti fra il rappresentante che interviene in assemblea ed il condòmino delegante vadano disciplinati dalle regole generali sul mandato;
io ti mando in assemblea per me, a rappresentare la mia testa ed a votare per i miei millesimi (oltreché, ovviamente, per i tuoi). Tu voterai per due teste e per la somma dei nostri millesimi.
Si è sempre ritenuto che, affinché uno dei condòmini potesse presentarsi in assemblea con la delega di altri, potesse anche bastare la delega verbale, meglio se seguita poi da delega scritta successiva a conferma (ma nessuna norma imponeva
la forma scritta).
Con la riforma del condominio va osservato come, dal 18 giugno 2013, l’art. 67 disp. att. cod. civ. ha previsto come obbligatoria la forma scritta per la delega; ha anche vietato le deleghe all’amministratore.
Se i condòmini sono più di venti (che è concetto diverso dal dire: se le unità immobiliari sono più di venti), il delegato non può rappresentare più di un quinto dei condòmini e dei millesimi; ciò costituisce un problema se io sono proprietario di un’unità immobiliare molto grande, ad esempio di 250 millesimi e ci sono (almeno) altri venti piccoli condòmini. Non potrò dare delega a nessun altro condòmino altrimenti gli farò superare il limite ammissibile.
Se l’unità immobiliare appartiene in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nell’assemblea, che è designato dai comproprietari interessati secondo le norme della comunione.
Si suggerisce di dare disposizioni precise al delegato su come votare, tenendo conto che (il più delle volte) si tratta di votare si o no sul singolo punto o di scegliere un’impresa o un preventivo; solo dando istruzioni precise ci si potrà
dolere di votazioni contrarie alle istruzioni e, soprattutto,non si metterà in imbarazzo il delegato che già ci fa la cortesia di andare al posto nostro in assemblea. Solo il delegante è legittimato a far valere eventuali vizi della delega scritta o la carenza del potere di rappresentanza e non anche gli altri condomini estranei a tale rapporto (Cassazione, Ord. 24.10.2014, n. 22685).
A cura di:
- Avv. Marco Galvagno